di Associzione Italiana di Oncologia Medica
Oggi l’80% delle oncologie mediche italiane ha i conti in rosso. I DRG, unità di misura che calcola l’entità dei rimborsi per le cure erogate, coprono appena il 50% delle spese, che continuano a crescere. Le cause? I malati sono in aumento e vivono più a lungo, le terapie diventano più impegnative. E non mancano gli sprechi, con prestazioni talvolta inappropriate, esami ripetuti e spesso poco utili. A questo si aggiunge la migrazione sanitaria, con pazienti che si spostano fra regioni o fra ospedali che distano pochi chilometri. “Ogni volta che una persona si trasferisce da un centro all’altro la presa in carico viene riattivata dall’inizio, dalla lettura dei vetrini in giù – afferma il prof. Carmelo Iacono, presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) -. “Questo comporta un allungamento dei tempi e la crescita della spesa, problema che gli oncologi vivono in modo sempre più pressante”. “I piccoli ospedali vanno messi in rete con quelli più attrezzati – continua il prof. Marco Venturini, presidente entrante AIOM – in modo che vi sia una circolazione delle esperienze. All’interno del singolo centro, va attivato un continuo dialogo fra oncologo, patologo, radioterapista e tutte le altre figure coinvolte per una presa in carico complessiva del malato. A livello regionale, vanno creati percorsi di confronto fra strutture. L’obiettivo è valorizzare le eccellenze che oggi esistono, ma sono sparse a macchia di leopardo, per farle lavorare in maniera integrata. Renderle “diffuse”, innalzando la competenza media degli operatori e l’appropriatezza degli interventi. Nel 2010 i nuovi pazienti italiani sono stati circa 255 mila, con i tumori a polmone, seno, colon retto e prostata che restano i 4 “big killer”. La prevenzione gioca un ruolo essenziale: solo cambiare il proprio stile di vita potrebbe ridurre fino al 40% dei casi. Ma realizzare percorsi diagnostico assistenziali uniformi è determinante sia per garantire pari opportunità ai malati che per utilizzare al meglio le risorse. immediata”.
Rispetto al 1992, quando si fecero le prime statistiche di questo tipo, il numero di italiani viventi con una diagnosi di tumore è quasi raddoppiato. Oggi sono 2 milioni e 250 mila (circa il 4% della popolazione). “Garantire loro la miglior esistenza possibile è la nuova priorità. Il malato deve restare fermo al centro ed è il sistema a ruotare intorno a lui, in cerchi concentrici – precisa il prof. Francesco De Lorenzo, presidente della Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO) -. Un primo “girone” è quello del dipartimento, in cui tutti gli specialisti devono interagire in maniera integrata: oncologo, patologo, radioterapista, ecc. insieme, per un approccio multidisciplinare. Il secondo livello è quello regionale, con un costante dialogo fra strutture sui percorsi diagnostico-terapeutici da adottare e una presa in carico globale, che deve contare su un livello base e su poli di alta specializzazione per la gestione dei casi più complessi. Tutto questo però si può realizzare solo se si applicheranno con immediatezza il piano oncologico nazionale ed il piano della riabilitazione, non più rinviabili”. Come dovrebbe funzionare, nel concreto, una rete ottimale? “Ogni ospedale deve essere in grado di garantire uno standard assistenziale adeguato per la gestione del 90% dei casi, cioè di assicurare l’ordinarietà – spiega Iacono -. Solo quel 10% che presenta una particolare complessità va rimandato all’ospedale di riferimento regionale per la patologia (tumore della mammella, dello stomaco, ecc.): così non si “ingolfa” il sistema e si offrono cure ottimali. Bisogna partire dalle esigenze concrete dei pazienti, degli operatori e dagli errori commessi in passato, è ridefinire i percorsi e le Reti per garantire un’assistenza migliore e più uniforme in tutto il Paese.