Chi riceve una diagnosi complessa come quella di cancro spesso desidera conferme da medici diversi da quello che, spesso per caso, lo ha in cura. Chiedere quello che oggi si chiama un ‘secondo parere’, ovvero l’opinione di un altro medico sia sulla diagnosi sia eventualmente sulla terapia, era considerato quasi offensivo, una sorta di dichiarazione di sfiducia nei confronti del primo curante. Per fortuna le cose non stanno più così: la sempre maggiore specializzazione della medicina ha fatto sì che i medici stessi ricorrano, con sempre maggior frequenza, all’opinione di un collega che magari ha visto più casi di quella malattia. Non solo: anche i pazienti oggi possono contare su servizi di secondo parere strutturati presso i maggiori centri oncologici nazionali, e organizzati in modo da mantenere il contatto con il medico curante e fornirgli il supporto necessario alla presa in carico dei casi più complessi. Poter contare su più di un’opinione è un diritto del paziente: è importante però scegliere con attenzione il referente, perché il secondo parere sia davvero utile. Ferma restando l’importanza di affidarsi a un medico di fiducia, va detto però che in alcune circostanze, e per certi tipi di tumore difficili da diagnosticare, il ricorso al secondo parere può davvero essere di grande utilità. Un bravo specialista non deve sentirsi sminuito nel domandare l’opinione di un collega. Se usato con buon senso, dunque, il secondo parere aumenta la probabilità di fare delle diagnosi più accurate e quindi anche di suggerire cure più appropriate. Il punto dolente, però, è che spesso il secondo parere è ottenibile solo a pagamento, perché il Servizio sanitario nazionale non riconosce automaticamente questo diritto. È però sempre possibile farsi fare una normale impegnativa per visita oncologica dal proprio medico di famiglia e seguire i percorsi (e, purtroppo, i tempi di attesa) di una normale prima visita convenzionata. È il paziente, però, che deve decidere di chi fidarsi in caso di pareri discordanti. Avere dieci opinioni non è, infatti, meglio che averne avute ‘solo’ tre, anche perché spesso gioca un ruolo importante la relazione che si è instaurata con un certo medico. In Italia le strutture che hanno al loro interno un servizio dedicato di secondo parere sono una trentina, di cui circa una ventina al centro-nord e le rimanenti al sud.